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Come divenni Beniamino Gigli (1937) |
COME DIVENNI BENIAMINO GIGLI:
(...) Andando a Roma, nutrivo la speranza di potere essere accolto nella Schola cantorum di don Lorenzo Perosi. Dirò di più: a quella speranza era affidata anche la risoluzione del problema della vita: era affidato tutto. Disgraziatamente, alla scuola di don Perosi potevano essere ammessi soltanto i ragazzi di quindici anni: io ne avevo tre di più. Dovetti cercar lavoro d'urgenza. Lo trovai prima in una farmacia, poi nell'Archivio fotografico del Ministero della Pubblica Istruzione (allora si chiamava così). C'eravamo allogati, Catervo ed io, in una stanzetta sotto i tetti, alla Passeggiata di Ripetta, numero 25. Una stanzetta che mi ritorna, con affettuosa tenerezza, alla memoria ogni volta che canto la "Bohème". Unico conforto, il bel cielo romano e la nostra fiduciosa giovinezza. Il lavoro non bastava sempre a garantirci la cena (...)
Eppure, io sono contento di avere allora sofferto la fame, il freddo, la miseria. E' stata la mia scuola. Ho imparato a conoscere la vita, a conoscere gli uomini. Mi ha insegnato la necessità spirituale e la bellezza incomparabile della bontà, della solidarietà umana. Che cosa importano la ricchezza e la gloria? Che cosa valgono tutti i trionfi, quando non c'è, dentro il petto, un cuore che palpiti e senta? La mia voce un giorno tacerà; si spegneranno queste sue vibrazioni; si romperanno questi suoi impeti di sonorità. Che resterebbe di me, allora, all'infuori di qualche disco, se non lasciassi il segno della mia umanità? Uomo tra gli uomini, sono; cuore vivo in mezzo ai cuori vivi; bisogna che resti buon ricordo di me uomo, se voglio che la mia vita assolva degnamente ai suoi doveri religiosi e morali.
Per tornare a Roma, dopo molti tentativi, riuscii ad essere ammesso alla scuola di canto di Santa Cecilia, col maestro Rosati. Naturalmente, ci fu di mezzo una borsa di studio, se no non sarei mai riuscito a varcare quelle porte. Studiai due anni: con molto profitto. La mia voce si maturò, si formò, si plasmò. Diventai quel che si dice un tenore.
Ma quello che mi aprì le porte del Teatro, è stato il concorso di Parma, del 1914. (...)
(da: "Come divenni Beniamino Gigli", in: "LA LETTURA: Rivista mensile del 'Corriere della Sera'", maggio 1937)
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