venerdì 30 settembre 2022

Breve Storia del pianoforte Blüthner, Serie Oro, di Beniamino e Rina Gigli

Il pianoforte Blüthner, Serie Oro, di Beniamino e Rina Gigli (1935 ca.)

Breve Storia del pianoforte Blüthner, Serie Oro, di Beniamino e Rina Gigli

Tra tutti gli strumenti a tastiera prodotti in Europa agli inizi del novecento, il Pianoforte a coda Blüthner con l'aliquot è stato sempre ritenuto uno degli standard di riferimento per quanto riguarda la risonanza di armonici, la cantabilità e la capacità di produrre un tipo di suono particolarmente vicino alle vocali della voce umana: per tale motivo viene considerato, dalla maggior parte dei cantanti lirici, lo strumento ideale per l'accompagnamento.
Nessuno vuole, evidentemente, mettere in discussione l'inequivocabile predominio che pianoforti di gran marca esercitano nel campo della musica pianistica solistica, ma quando il discorso si restringe e diventa più specifico e settoriale, allora il glorioso marchio di Lipsia torna alla ribalta, riscuotendo preferenze che sono giustificate dalla somma e dalla qualità di sensazioni che tali strumenti sono in grado di trasmettere, comunicare e farci apprezzare.
Se poi fortunatamente, per quella sorta di caso che dirige imperscrutabilmente le attività umane, veniamo a contatto con il Blüthner Serie Oro che storicamente appartenne al sommo ed indimenticabile Beniamino Gigli questo non può fare a meno di comunicarci una serie di emozioni che, senza retorica, ci pervadono in qualità di appassionati, musicisti e perché no, di melomani. (...)
Nell'estate del 1992 una equìpe di Tecnici diretta da Sergio Griffa, Presidente dell'A.I.A.R.P., (acronimo dell'Associazione Italiana Accordatori e Riparatori Pianoforti) visionò, durante il secondo Corso di perfezionamento per Tecnici del Pianoforte, lo strumento che il Comune di Recanati custodiva nell'Aula Magna e che era appartenuto, per l'appunto, al grande Beniamino.
Spontanea sorse l'idea di far sì che il Pianoforte, fino ad allora completamente inutilizzato, nonostante un precedente restauro, potesse di nuovo essere messo in condizione di esprimersi al meglio, tramite una revisione mirata che ne portasse nuovamente alla luce il tocco, il suono e la dinamica originari.
Per chi desiderasse sapere qualcosa di più sulla storia dello strumento in questione, abbiamo a questo proposito interpellato il nipote di Gigli, Prof. Luigi Vincenzoni figlio della sorella del Tenore, Ada, e presidente della locale pro-loco il quale, in una amabile quanto informale intervista, ci ha detto:
<<....Il pianoforte fu comprato all'incirca nel 1935 al ritorno di mio zio Beniamino da una tournée in America; fu scelto proprio questo modello (Serie Oro) perché era unanimamente riconosciuto come il più adatto per l'accompagnamento dei cantanti, in quanto dotato della quarta corda di risonanza. Appena acquistato fu portato a Roma nel villino stile liberty che Beniamino aveva in via Serchia. (...) Dopo un certo periodo di tempo, Rina ritornò a Recanati e riportò quindi con sé il Pianoforte; (...) Negli anni recenti la figlia di Beniamino ha deciso, con una generosità e magnanimità esemplari, di donare il suo Pianoforte al Comune di Recanati, che lo ha sistemato dove attualmente si trova e cioè nell'Aula Magna del Comune; (...) Su questo Pianoforte ha anche suonato Ernesto De Curtis l'autore di "Torna a Surriento", oltre ai Maestri Carnevale e Siviero....>>.
Questa breve, ma chiara, cronistoria ci fa capire che un tale strumento, con una simile storia dietro le spalle, non poteva certo passare inosservato agli occhi dei Tecnici che ormai da vari anni confluiscono a Recanati, da ogni parte d'Italia, nel mese di luglio.
Il restauro in oggetto, diretta conseguenza dei Corsi appena citati, ha richiamato infatti dal 12 al 16 luglio nella cittadina marchigiana, ben 34 Tecnici che, pur non partecipando in prima persona ai lavori, hanno per 5 giorni assistito al completo recupero funzionale del Blüthner Serie Oro con la matricola numero 125357. (...)
I lavori eseguiti si possono così riassumere: è stata perfezionata la messa a punto della pressione delle corde sui ponticelli (carica) dando ad ogni comparto (bassi, centro, acuti) un valore precalcolato e definito ottimale per tale strumento; si è poi provveduto alla sostituzione delle caviglie (sulle quali le singole corde sono avvolte), della cordiera completa, della martelliera e delle aste dei martelli.
Si è poi intervenuto sulla registrazione della tastiera, sulla sua pesatura e sulla registrazione della meccanica, operazione questa che ha richiesto la consueta notevole dose di lavoro, dato che comporta una continua e ripetitiva serie di regolazioni e di microregolazioni sulle viti, mollette e misure fisse deputate ad un perfetto funzionamento della ripetizione, del primo e del secondo scappamento (il famoso doposcatto o scalino), questo solo per citare i particolari su cui la maggior parte dei Pianisti pone più frequentemente l'attenzione.
Quindi si è passati alla regolazione degli smorzi (che ogni tecnico conosce come essere una delle più lunghe e laboriose) e della pedaliera; il Pianoforte è stato, a questo punto, intonato con pazienza e, poi, accordato più volte. (...)
Subito dopo, presso l'Aula Magna del Comune in piazza Leopardi, c'è stata la cerimonia della consegna ufficiale dello strumento restaurato (sul quale l'A.I.A.R.P. ha posto una targa d'argento) (...)
Tutti i veri appassionati musicali si augurano, ora, di sentir fluire altre nobili ed intense melodie da ciò che fino a ieri era, solamente, il cimelio "senza vita e senza suono" del più grande Tenore del nostro secolo.
[ tratto da: Tra cronaca e storia - "Appunti sul restauro del Pianoforte di Beniamino Gigli", di Daniele Mezzatesta ]


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La voce del pianoforte di Beniamino Gigli - Recanati, live 2015-2016

Questo video è dedicato alla "voce" del pianoforte di Beniamino e Rina Gigli che potete ascoltare qui, in una serie di estratti audio-video, sotto le dita del M° Mattia Peli, tratti da performance e concerti gigliani tenuti, negli ultimi anni recenti, nella cittadina natale di Gigli, Recanati, assieme al soprano Astrea Amaduzzi.

Introduzione video - Persiani - "Cari giorni", vers. Malibran (Introduzione della romanza), esecuzione live tratta dal Concerto "Nel segno del Belcanto Italiano" - Omaggio a Beniamino e Rina Gigli, 18 marzo 2016 - Aula Magna del Comune di Recanati

1. Bellini - "Col sorriso d'innocenza" (Introduzione al recitativo e tema dell'aria finale di Imogene, dall'opera "Il pirata"), esecuzione live tratta dal Concerto in omaggio a Beniamino Gigli del 27 settembre 2015 presso l'Aula Magna del Comune di Recanati

2. Persiani - "Cari giorni", vers. Tacchinardi-Persiani (Introduzione della romanza) - Performance Live presso l'Aula Magna del Comune di Recanati, 2 agosto 2016

3. Mercadante - "Ma negli estremi istanti" (Introduzione al recitativo e tema della romanza di Elaisa, dall'opera "Il giuramento"), esecuzione live tratta dal Concerto in omaggio a Beniamino e Rina Gigli "Nel segno del Belcanto Italiano" - Aula Magna di Recanati, 18 marzo 2016



Beniamino Gigli (Protagonisti della musica), di Paolo Isotta - 1988


Paolo Isotta, critico e musicologo, scriveva:
“Onore a Gigli, altissimo tenore, una voce luminosa, una tecnica straordinaria. Una figura del tutto eccezionale della quale si parla e si scrive troppo poco. Eppure si tratta, insieme con Caruso, forse persino al di sopra di lui, del più grande tenore di questo secolo”.

...ed ancora:
“Quando si ciancia sui meriti (veri o presunti) dei divi attuali, Gigli andrebbe tenuto come termine di paragone; in molti casi, come il metro stesso col quale giudicare tutti gli altri…”.
Il timbro è limpido e riconoscibile abbastanza perché il canto costituisca un insegnamento impareggiabile; e al tempo stesso per spandere intorno a sé la gioia, allo stato puro, di cui Gigli seppe essere il detentore”.

[da "Protagonisti della musica", Longanesi & C., Milano, 1988, p. 140.]


Franco Foschi su Beniamino Gigli nel Centenario del tenore recanatese - 1990

Franco Foschi su Gigli (1990)

Parole in occasione dell'apertura del Centenario di Beniamino Gigli - Recanati, Aula Magna, 24 marzo 1990 - di Franco Foschi

 

Beniamino Gigli su 'LO STAFFILE' - 1923

BENIAMINO GIGLI su "Lo Staffile" (1923)

Giornale di Teatri Lettere e Arti - Lo Staffile N. 4 - Beniamino Gigli - 16 marzo 1923

BENIAMINO GIGLI: ecco un nome che è sempre pronunziato con la reverenza e la stima con cui si pronunzia quello dei grandi. Il nome suo onora, e non da oggi, l'arte teatrale italiana. Disgraziatamente l'America ha sottratto Beniamino Gigli alla nostra ammirazione ed al nostro affetto, e chi sa mai quando ci sarà concesso di riudirlo in Italia, di dove mosse i suoi primi passi verso la più radiosa mèta.
Dopo un anno di carriera, Beniamino Gigli si presentò al San Carlo di Napoli nel "Mefistofele", e ricordiamo che un nostro collega scrisse, dopo che lo ebbe udito, che egli prese in quel teatro trionfalmente il brevetto della celebrità e che egli era "il tenore vero, il tenore, purtroppo, delle Americhe di domani". E il nostro collega mostrò davvero di possedere il dono di Cassandra.
Beniamino Gigli è nato a Recanati, dove ebbe pure i natali un Leopardi, ed ha studiato a Roma, al Liceo di Santa Cecilia nel quale ha avuto per maestro Enrico Rosati. Il suo debutto si avverò a Rovigo nella "Gioconda", e da Rovigo passò subito a Milano, alla Scala, dove si produsse nel "Mefistofele", sotto la direzione di Toscanini. Un bel salto indubbiamente e che subito lo pose in bella, in bellissima evidenza nel mondo teatrale! Dopo il successo splendido nel più grande teatro del mondo — poichè tale è senza dubbio la Scala di Milano  — le scritture gli piovvero da ogni parte, e non ebbe quindi che l'imbarazzo della scelta. Avemmo noi pure a Firenze la immensa fortuna di ammirare il suo caldo accento, la deliziosa sua voce, l'arte sua fascinatrice e il suo spiccato talento, fortuna che forse non ci toccherà più. Beniamino Gigli ha preso oramai stabile dimora a Nuova York, e il pubblico del Metropolitan pare che non possa fare più a meno di lui.
Nella corrente stagione ha cantato, infaticabilmente cantato in quella città dell'America del Nord, oltre che nel suo maggior teatro, in numerosi concerti sollevando un fanatismo che invano sarebbe potere efficacemente descrivere. Ed ha cantato in molte opere, fra le quali ricordiamo la "Traviata", il "Mefistofele", la "Loreley", la pucciniana "Manon", la "Madama Butterfly" e l' "Andrea Chénier" nella parte del protagonista del quale ci piace oggi presentare il suo ritratto ai nostri lettori. Quest'ultima opera egli l'ha eseguita a beneficio dell'Ospedale italiano di Nuova York.
Il direttore del Metropolitan di Nuova York, Gatti-Casazza, intravedento che Beniamino Gigli sarebbe stato un ideale Romeo dell'opera "Giulietta e Romeo" di Gounod, la mise in scena in quel teatro, ed è stato scritto che egli ha aggiunto all'infinita serie dei suoi successi un altro, e grandissimo, che rimarrà memorabile nella sua oramai celebre carriera artistica.
- Lo STAFFILE -

Incontri di Corrado Santini con Beniamino e Rina Gigli (1936, 1951 e 1957)

Incontri di Corrado Santini con Beniamino Gigli (1936 e 1951)

Incontri di Corrado Santini con Beniamino Gigli

A Montarice nel 1936:

«Fra Recanati e Loreto sorgeva la Villa Gigli, a Montarice. Era circondata da un immenso parco. Quel giorno le aiuole erano in fiore, le siepi di mirto ben tosate. Nel luminoso atrio esterno due leoni in marmo, dei vialetti ghiaiati, un laghetto e dei sedili marmorei. Il fotografo Roberto Fabris riprese scrupolosamente gli ambienti accompagnato dal maggiordomo di casa Gigli.
Ero ospite con mia madre, mentre giunse inaspettato il maestro Mercantoni con il giovane cantante Bruscantini da Porta Civitanova.
Mentre Gigli parlava ammiravo fotografie e cimeli rarissimi in alcune vetrinette.
Nella preziosa collezione erano conservati doni di uomini politici, di sovrani e di principi, tra cui un anello con un magnifico solitario del madrileno conte Vasco di Gama, discendente del glorioso navigatore, l'orologio usato da Umberto Nobile nella spedizione al Polo, una dedica del Presidente degli Stati Uniti Roosevelt, una "lupa" in argento massiccio e nientemeno che il bastone di Giuseppe Verdi.
Il maestro Mercantoni desiderava che Gigli ascoltasse la voce del suo allievo, due romanze. Il Mercantoni sedette al pianoforte. Il giovane Bruscantini si dimostrò preparatissimo, con una voce come "un colpo di cannone" (interpretò Don Basilio ne "Il Barbiere di Siviglia"). Gigli chiese una romanza: "Ella giammai m'amò" dal Don Carlos di Giuseppe Verdi. Al termine, entusiasta, fece un commento che ricordo con molta precisione. Disse a Bruscantini, che si chiama Sesto: "Tu oggi sei Sesto, un giorno sarai primo nella lirica". Elogio che incoraggiò il debuttante verso la strada del successo.»

A Fabriano nel 1951:

«Accogliendo il mio invito, Beniamino Gigli tornò sul palcoscenico del Teatro Gentile, a Fabriano, dove aveva già cantato pochi anni prima. Eravamo il 3 giugno del 1951, in occasione di un concerto di beneficenza in favore dei bambini dell'asilo "G.Braccini". La Pro Loco organizzò nel Palazzo Moscatelli un'accoglienza per gli artisti e le autorità. La gente acclamava il tenore. Gigli si affacciò più volte colloquiando con la folla. Commosso definì Fabriano una "piccola Parma". Venne portato il pianoforte vicino al balcone ed egli cantò "Mamma" e l' "Esultate" dall' "Otello" di Verdi. Non aveva mai eseguito quest'opera in teatro, e pur non possedendo la voce ideale del personaggio, si rivelò interprete in grado di padroneggiare l'impatto vocale con irrisoria facilità.»

 

Incontri di Corrado Santini con Rina Gigli (1957)

Incontri di Corrado Santini con la figlia Rina Gigli:

«In quel lontano settembre del 1957 la figlia Rina, amatissima e seguita nel canto con scrupolosità dal padre Beniamino, cantò a Fabriano l'aria "O mio babbino caro" dal Gianni Schicchi di Puccini. Rina mi confidò qualche anno dopo che in quell'occasione il padre rievocò episodi e aneddoti della sua vita, come spinto da un senso di conservazione della memoria infantile che lo aveva contagiato. Intonò la canzone sul palcoscenico del Teatro Gentile, il padre seguiva il gesto "negli appoggi" e con il capo le variazioni in un sincronismo eloquente. Al termine mi colpì la dolcezza con cui padre e figlia si abbracciarono commossi. (...)
L'incontro più commovente con Rina avvenne a Recanati. (...) Rina Gigli mi accolse con affetto e mi donò una medaglia d'oro dedicata dalla città di Alba a papà Beniamino dopo un concerto di beneficienza.»

Come divenni Beniamino Gigli (1937)

Come divenni Beniamino Gigli (1937)
 

COME DIVENNI BENIAMINO GIGLI:
(...) Andando a Roma, nutrivo la speranza di potere essere accolto nella Schola cantorum di don Lorenzo Perosi. Dirò di più: a quella speranza era affidata anche la risoluzione del problema della vita: era affidato tutto. Disgraziatamente, alla scuola di don Perosi potevano essere ammessi soltanto i ragazzi di quindici anni: io ne avevo tre di più. Dovetti cercar lavoro d'urgenza. Lo trovai prima in una farmacia, poi nell'Archivio fotografico del Ministero della Pubblica Istruzione (allora si chiamava così). C'eravamo allogati, Catervo ed io, in una stanzetta sotto i tetti, alla Passeggiata di Ripetta, numero 25. Una stanzetta che mi ritorna, con affettuosa tenerezza, alla memoria ogni volta che canto la "Bohème". Unico conforto, il bel cielo romano e la nostra fiduciosa giovinezza. Il lavoro non bastava sempre a garantirci la cena (...)
Eppure, io sono contento di avere allora sofferto la fame, il freddo, la miseria. E' stata la mia scuola. Ho imparato a conoscere la vita, a conoscere gli uomini. Mi ha insegnato la necessità spirituale e la bellezza incomparabile della bontà, della solidarietà umana. Che cosa importano la ricchezza e la gloria? Che cosa valgono tutti i trionfi, quando non c'è, dentro il petto, un cuore che palpiti e senta? La mia voce un giorno tacerà; si spegneranno queste sue vibrazioni; si romperanno questi suoi impeti di sonorità. Che resterebbe di me, allora, all'infuori di qualche disco, se non lasciassi il segno della mia umanità? Uomo tra gli uomini, sono; cuore vivo in mezzo ai cuori vivi; bisogna che resti buon ricordo di me uomo, se voglio che la mia vita assolva degnamente ai suoi doveri religiosi e morali.
Per tornare a Roma, dopo molti tentativi, riuscii ad essere ammesso alla scuola di canto di Santa Cecilia, col maestro Rosati. Naturalmente, ci fu di mezzo una borsa di studio, se no non sarei mai riuscito a varcare quelle porte. Studiai due anni: con molto profitto. La mia voce si maturò, si formò, si plasmò. Diventai quel che si dice un tenore.
Ma quello che mi aprì le porte del Teatro, è stato il concorso di Parma, del 1914. (...)

(da: "Come divenni Beniamino Gigli", in: "LA LETTURA: Rivista mensile del 'Corriere della Sera'", maggio 1937)


 


giovedì 13 gennaio 2022

L'arte canora e interpretativa di Beniamino Gigli secondo Gaianus (Il Resto del Carlino, 1927)

«Beniamino Gigli è uno di quei rarissimi cantanti che non ci si stanca mai di ascoltare, che si ricorda con nostalgia e che si vorrebbe riudire presto, presto, magari la sera dopo che lo si è sentito. Tutto ciò, semplicemente, perché Gigli "canta", canta con la sua bella voce morbida e calda, che nelle modulazioni della melodia si snoda con una varietà e una ricchezza di suono e di colori che ha del prodigioso. Beniamino Gigli è un artista nel senso migliore della parola: sa esprimere, sa ridare alla strofa, e al discorso musicale, il ritmo, la linea, l'accento che il musicista intravvide e creò nel lampo divino della sua ispirazione. Ma tutta la sua magnifica, eletta, coscienziosa arte di interprete, è per così dire, assorbita, superata dalla prepotente spontaneità del suo temperamento di 'cantante'. Ieri sera ho rilevato in tutta la creazione del personaggio di Cavaradossi, dettagli e ricerche di interprete di grande classe: ma quando al terzo atto Gigli potè abbandonarsi pienamente al suo estro di cantante, egli apparve di un tratto, al di sopra e al di fuori di ogni confronto. La romanza "E lucevan le stelle", cantata due volte, con diversa intensità di accenti, e con qualche varietà di espressioni, suscitò nell'uditorio un autentico entusiasmo, e sì che tutti l'avevan sentita almeno cento volte, la bella abusatissima romanza pucciniana. E l'entusiasmo vibrò per tutto l'atto ad ogni frase, ad ogni accento, sino alla trionfale invocazione d'amore che parve un folgorare luminoso di note, l'una più bella, piena, sonora, incandescente dell'altra.»

[GAIANUS (pseudonimo di Cesare Paglia) su "Il Resto del Carlino", 15 settembre 1927]

martedì 11 gennaio 2022

L'arte di Beniamino Gigli secondo la testimonianza di Savinio (OGGI, 8 febbraio 1941)

L'arte di Beniamino Gigli secondo la testimonianza di Savinio:

Per apprezzare a dovere l'esecuzione di un'opera, bisogna se non altro poter ascoltare quest'opera integralmente, e gli applausi che venivano giù a torrenti a ogni cadenza di questa "Traviata" tanto cadenzata (è stato applaudito persino il mutamento di scena fatto per mezzo del palcoscenico girevole) ci hanno nascosto metà della musica (...)
trovammo modo di apprezzare una volta ancora l'arte di Beniamino Gigli. Di essere venuto al mondo fornito di un'ugola prodigiosa, il merito non spetta a lui; ma è merito suo l'aver messo la sua ugola al servizio di una tecnica perfetta, di una scienza profonda, di un tanto rispetto della "musicalità" della musica. Diversamente da molti suoi colleghi, e da molte sue colleghe, Gigli canta da musicista. Il suo canto non viene fuori come l'acqua dalla cannella dell'acqua perenne: ora a sbuffi violenti, e ora come un filo. Gigli dà al suo canto un equilibrio costante. Egli sa che una corona non ha un valore "ad libitum", ma una lunghezza pari al doppio di quella della nota. Al senso innato del ritmo, egli ha aggiunto un rispetto rigoroso del tempo. Sa di quanto il cantante "controllato" è superiore al cantante d'istinto. Sa quando è il caso di non insistere, di sorvolare, di "lasciar perdere"; e talvolta si può sorprendere Gigli in atto di "correggere" la sua parte: di sostituirsi all'autore. Egli sa la differenza tra un cantare civile e un cantare incivile. Sa quale segno di civiltà musicale è il legato, la parità di suono. Sa che cos'è stile. E ascoltando Beniamino Gigli, la sua voce guidatissima, il suo legatissimo disegno, si pensa ai disegni di Ingres in punta di matita.

FONTE: Pubblicato su "Oggi", 8 febbraio 1941, p.23

(da: Alberto Savinio - "Scatola sonora", 1955) 

domenica 9 gennaio 2022

"Gigli lascia il teatro" - Rodolfo Celletti ('Musica e dischi', aprile 1955)

Gigli lascia il teatro - UNA VERA E PROPRIA APOTEOSI CORONA QUARANT'ANNI DI GLORIA:

(...) Noi non cercheremo qui di ricostruire le fasi più splendenti della sua carriera – è storia recente (...) Ci limitiamo ad affermare – e non è certo una nostra scoperta – che Gigli è stato ed è ancora il cantante più famoso del mondo. Per questo, appunto, il fatto ch'egli si sia risolto ad abbandonare le scene, non appartiene soltanto alle cronache del teatro lirico, ma si ripercuote, in un certo senso, su tutta la nostra epoca, del cui panorama la sua voce era un elemento costitutivo.

Parliamone, dunque, di questa sua voce che ora vuol lasciarci, di questa voce così familiare, eppure così difficile a descrivere. La principale lusinga n'erano la dolcezza, lo smalto limpido, le vibrazioni regolate al millesimo, i colori distribuiti e amalgamati lungo tutta la gamma con un'esattezza e una simmetria miracolose. Una grandissima voce, sotto ogni riguardo, sfoggiata generosamente, ma, in pari tempo, amministrata con una sana e accorta tecnica e sorretta da arcate di fiati ampie e granitiche. Un impasto soffice, ricco, di riflessi vellutati più che di squilli sfavillanti, ma ciononostante compatto, robusto, sonoro, ridondante. Le modulazioni della "mezza voce" avevano così nitida forza di espansione, così larga portata che non di rado sembrava corrispondessero alla voce piena di un normale tenore. Miracolo che nessuno più compiva – tolto Caruso agli inizi della carriera – dai tempi del famoso Angelo Masini.
Gigli discendeva appunto in linea diretta da quei tenori di grazia, di stampo antico – non esistevano ancora i tenori lirici – che talvolta affrontavano il repertorio drammatico (come Giuglini, Galvani, Calzolari, Gardoni e lo stesso Masini) avvalendosi delle infinite risorse che un'ineccepibile emissione elargiva alla loro voce. Il passaggio dei più "voluminosi" di questi tenori al genere lirico, iniziatosi con il "Faust" e portato a termine con l'affermarsi della giovane scuola – in specie Puccini – era un fatto già da tempo compiuto allorché Gigli si presentò alla ribalta. Ma la perfezione ch'egli raggiunse nella "Manon" di Massenet, nei "Pescatori di perle", nella "Marta", come interprete ed esecutore, e nell' "Elisir", nella "Favorita", nella "Lucia", – qui più come esecutore che come interprete – denunciano l'origine di "grazia" di questo tenore che ha calcato le scene per quarant'anni con l'etichetta di "lirico spinto".
Come volume e colore nulla da eccepire: lo provano non soltanto la "Gioconda", il "Mefistofele", la "Bohème", la "Tosca" – tutti spartiti di cui Gigli è stato un eccezionale esecutore – ma la "Manon Lescaut", lo "Chènier", la "Fedora", l' "Iris", la "Cavalleria", gagliardamente dominate dal punto di vista vocale, come , del resto, il "Ballo in maschera" o la "Forza del destino". (...)
La voce di Gigli è sempre stata – probabilmente lo è tuttora – un argomento irresistibile. S'assottigliava, s'ingrossava, s'oscurava, si schiariva, si fletteva, si tendeva, gemeva, sospirava, imprecava, piangeva ad assoluta discrezione del cantante. Come assortimento d'effetti vocali, lo stesso Caruso, stando almeno ai dischi, parrebbe largamente distanziato, occorre che la nostra immaginazione si spinga fino a Marconi e a Gayarre. Ma sotto l'effetto vocale, ch'è una patina, una vernice, che cosa trovavamo? Anzitutto, che l'altissimo contenuto zuccherino del timbro rispecchiava una vocazione per il canto di grazia sancita dalla natura, anche se non sentita dal cantante; in secondo luogo che l'accento, il fraseggio, il tono, per quanto la voce compisse tutti i prodigi che si vuole, restavano pur sempre quelli del cavalier De Grieux (il De Grieux massenettiano, ch'era anche abate) (...) Perché, non dimentichiamolo, che le voci si dividono in liriche, leggere e drammatiche è scritto sui trattati di canto. Ma che l'accento, in primis, e la mimica, poi, siano un fattore predominante nelle classificazioni dei temperamenti, è incrollabile legge di teatro.

L'accento di Gigli era in armonia col timbro: schietto, spontaneo, ma nella sua schiettezza, nella sua spontaneità, elegiaco, soffice. (...) "O Zurga, quando avrem l'età raggiunta insieme - in cui il sogno dei passati dì - dell'animo svanì...". Gigli doveva sognare: nei "Pescatori di perle", nel racconto di De Grieux, nell'aria di Enzo Grimaldo, nella romanza di Rodolfo, nell'epilogo del "Mefistofele". Non c'è stato tenore del nostro secolo che abbia pronunciato e modulato con tanta melodiosa levità, con tanto fragrante lirismo, con tanto incantato fervore, la parola: sogno. Sulle sue labbra, queste due sillabe evocavano chiarità lunari, tenui vapori antelucani, trasparenze vespertine meglio di tutti gli espedienti dei macchinisti teatrali. Avevano quel "lontanando morire a poco a poco" d'un altro recanatese ch'è stato il più grande e dolente sognatore conosciuto dalla umanità: Giacomo Leopardi.
Questa voce aveva, è verissimo, anche una potente muscolatura e sapeva arroventarsi. E anche così era irresistibile, purché s'arroventasse tra gli incensi e i ceri di San Sulpizio o invocasse: "Oh, Laura mia!". In un'atmosfera, cioè, lirica. (...) tutti coloro che lo hanno sentito – esiste, al mondo,chi non abbia mai sentito Gigli, sia pure soltanto per radio o attraverso un'incisione? – gli sono debitori di quelle sensazioni e di quei sentimenti che soltanto un cantante di eccezionale levatura (eccezionale per tutti i tempi, non soltanto per la nostra grama epoca) può destare. Quando gli gridavano dai loggioni: "Sei un angelo!!!" balenavano, in un improvviso scorcio dei tempi d'oro del teatro d'opera, i furori romantici che divampavano attorno ai Rubini, ai Mario, ai Moriani. (...)

(Rodolfo Celletti su "Musica e dischi", aprile 1955)


BENIAMINO GIGLI (La Civiltà Cattolica, 2008)

G. Arledler - BENIAMINO GIGLI (La Civiltà Cattolica, 1° marzo 2008)

Il 30 novembre dello scorso anno [2007] ricorreva il 50° anniversario dalla morte di Beniamino Gigli, che con Enrico Caruso è passato alla storia come il più grande tenore del Novecento. L'articolo traccia il ricordo di una personalità artistica che piace ricordare non solo nell'ambito musicale, ma anche per le qualità umane.

La sua arte [di Beniamino Gigli] si può valutare pienamente nel repertorio operistico, a confronto con le più grandi voci del suo tempo: scegliamo qualche frammento dall'analisi vocale, un po' tecnica, ma assai puntuale, che ne traccia un grande intenditore di voci liriche come Rodolfo Celletti (1917-2004). Riguarda Gigli nella prima parte, ma non solo, della sua carriera artistica e ci fa comprendere come una voce maschile, quella del tenore in particolare, riesca a suscitare veri e propri fanatismi:

"La voce era tra le più belle udite nel nostro secolo, con un timbro limpido, caldo, ricchissimo di armonici, soffice e con una facilità di emissione che assicurava omogeneità di colore e di vibrazioni a tutta la gamma. Un perfetto controllo dei fiati permetteva fermezza di suono e legati impeccabili; la morbidezza e la duttilità consentivano una mezzavoce capace di espandersi come se fosse un mezzoforte, ma con una velatura lievissima che ne accentuava la dolcezza. L'estensione, ridotta nei primi anni, fu gradualmente portata fino al si naturale (talvolta anche al do) con acuti non squillantissimi, ma pieni, compatti. La dizione, poi, era chiarissima e l'intonazione impeccabile.
Queste qualità fecero di Gigli l'immagine vocale del perfetto tenore di genere lirico, non senza qualche propensione al repertorio lirico-spinto. Quanto all'interprete, rendeva spesso i recitativi e le arie con un'eccellente calibratura di accenti, colori, intensità e a volte la fantasia del fraseggiatore si esprimeva con modi che non avevano nulla da invidiare a quelli di uno Schipa o di un Pertile e che il più ricco materiale vocale rendeva irresistibili.
" [R.CELLETTI - "Grandi voci alla Scala" - Milano, Teatro alla Scala, 1991 (con 6 cd): pagina 129] 



 

 

 

 

 

 




sabato 1 gennaio 2022

Gigli in concerto all'Avana: il suo canto ha entusiasmato fino al delirio ("Rassegna melodrammatica", 27 aprile 1927)

GIGLI
Per due Concerti è stato all'Avana il celebrato tenore e il successo raggiunto è stato indescrivibile. Il suo canto ha entusiasmato fino al delirio e con altre nostre parole non vogliamo guastare la prosa di Sanchez de Fuentes di cui riproduciamo il testo.

("Rassegna melodrammatica", 27 aprile 1927)

«Y es que Gigli siendo un admirable tenor lirico reune tan envidiables dotes, que puedes cantar dentro de los limites del tenor dramatico, sin temor a que su exito pueda aminorar por esa causa. Sa càlida voz, su magnifico acento dramàtico y sus maravillosos agudos, contrastan, a las veces, con el terciopelo de su media voz y con la màs tierna expresiòm en la que sabe poner el cantante su refinado gusto. Y asi, aunando los dos géneros, que pudiéramos llamar; las dos fisonomas que caracterizan corrientemente a los denominados tenores lirico y tenores ligeros, de una parte y a los dramàticos, de otra en este simpàtica y joven hijo prede los màs completos intérpretes vocales de la hora presente. El aria "Una furtiva lagrima" de Donizetti, el "O Paradiso" de Meyerbeer, y, el aria de la "flor" de "Carmen" de Bizet, fueron un testimonio eloquente de cuanto acabamos de manifestar. Una media voz angelical, una ternura de expresiòn exquisita frente a los màs apanaron hondamente al auditorio, derroches ampliamente sonoros y agudos impecables.»